Diversi concittadini, in varie epoche storiche, si sono occupati della nostra “storia patria”, ognuno ha scritto di volta in volta ciò che ha ritenuto opportuno.

Così dalla memoria storica del Sac. Preximone, relativa al Riscatto del Mero e Misto Imperio, alle ipotesi formulate dal Lamonica, anchesso Sacerdote, sull’origine del paese; dagli scritti di Filoteo, riguardanti il territorio, perciò un contesto più ampio, alla specifica monografia del Sardo: “Castiglione città medievale città feudale’, pubblicata agli inizi del secolo e ristampata di recente; dalle osservazioni del Prof. Cesco Giannetto, ai lavori puntigliosi del Prof: Angelo Manitta.
Ultimi in ordine di tempo, ma non meno significativi, i lavori in video, con commento vocale, di Enzo Patanè e di Pippo Marino
Castiglione ha destato anche l’ interesse di studiosi forestieri, ricerche  puntigliose sono state fatte, sia sulla Chiesa di Santa Domenica, sia sul Castello
medievale. L’obiettivo del presente lavoro, è quello di presentare una guida descrittiva della cittadina ai visitatori, che frettolosamente girano vie e piazze e sono sicuramente desiderosi d’avere qualche dato sui luoghi.
Pertanto il lavoro è corredato con mappe, fotografie e informazioni sintetiche.

RECATTITO
RECATTITO -MIRACOLO DEL SUDORE

Il Feudalesimo, venutosi a determinare, come conseguenza del disfacimento del potere centralizzato, esercitato dai Romani e poi relativamente alla Sicilia dai Bizantini; (considerando il periodo di dominazione Musulmana, come una componente transitoria, che contribuì con caratteristiche proprie al realizzarsi del nuovo corso storico), fu caratterizzato ovunque da alcuni elementi, i quali assieme costituivano la sua struttura:a) tutto il potere economico, inteso come la proprietà totale ed assoluta dei territori conquistati, nelle mani del Re.
b) concessione da  parte di q quest’ultimo di  parte dei territori conquistati, a persone che gli avevano reso dei servizi di tipo militare


Nascevano così feudi e feudatari, dietro ai quali si venne a costituire un’aristocrazia di tipo militare, fondante il proprio benessere, sullo sfruttamento del territorio avuto in concessione.
Si determinò, in tale modo, una contrapposizione tra coloro i quali si dedicavano alla vita militare, traendone come contropartita dei privilegi e coloro che coltivavano la terra.
Su questo corpo sociale, si svilupparono tutta una serie di modelli e modi d’essere, i quali interagirono con la situazione che li aveva espressi, determinando un panorama complesso, variegato e ricco di sfumature.
In questo contesto, di diversa natura erano i diritti e i privilegi che il Re accordava ai feudatari, sia rispetto alle genti da governare, sia sulle terre concesse.
Tali diritti, costituivano la caratteristica più importante del regime sociale, dopo la concessione del feudo stesso.
Passata parte del potere economico nelle mani dei militari, divenuti feudatari, ne scaturì, per questi, la necessità di cercarne il consolidamento, con tutti i mezzi possibili, non esclusa la gestione della res pubblica.
Prima fra tutti, l’esercizio della giustizia, cui seguiva la riscossione delle imposte, la difesa dei territori e gli aspetti burocratico amministrativi.
Successivamente alla concessione del feudo, subentrava l’esazione dei contributi, un compito gradito alla totalità dei feudatari; svolto in nome del Re, ai feudatari era lasciata la facoltà di usare i modi più idonei al raggiungimento dello scopo.
Il feudatario inoltre, aveva la possibilità, intesa come diritto, di richiedere a titolo gratuito, in certi periodi dell’anno, agli abitanti del feudo, dei servizi di manodopera, come anche il prestito di armenti, utilizzandoli per la semina e per arare le terre.
I privilegi concessi dal Re, tuttavia, non crano uguali in tutti i feudi e per tutti i feudatari; così se in un feudo i popolani erano obbligati a lavorare gratuitamente, in un altro, nel periodo della vendemmia dovevano consegnare al feudatario un cerchio a testa per le botti, oppure un animale da cortile nelle festività.
Gli adjutori feudali, consistevano nel richiedere ai vassalli dei contributi, per avvenimenti di carattere straordinario, che investissero la famiglia del signore della terra, quali potevano essere il matrimonio della figlia o il pagamento di un riscatto, in caso di rapimento o prigionia di qualcuno dei suoi familiari.
Vera e propria vessazione, erano i carnaggi, consistenti nel richiedere una somma o dei beni in natura, sugli animali che transitavano per le terre feudali; simili ai carnaggi erano i diritti di baglia, dovuti al feudatario nei casi di importazione o esportazione dei beni.
Questi diritti ed altri non menzionati, venivano esercitati dai feudatari sui borgesi, oggi diremmo piccoli artigiani, commercianti e agricol- tori, che possedevano piccoli appezzamenti di terreno, mentre erano di tutt’altra natura i servizi che fornivano i villani, i quali erano con- siderati come cose annesse ai feudi.
Unitamente ai diritti finora menzionati, che erano esercitati in modo diretto, bisogna ricordare dei privilegi, che permettevano al feudatario di accrescere il proprio potere in modo indiretto.
Di fatto il feudatario poneva le condizioni per essere al centro delle attività produttive, avocando a se il diritto di proprietà dei frantoi e dei mulini, costringendo i piccoli produttori a pagare balzelli, ogni qualvolta questi avessero bisogno di estrarre l’olio o macinare il frumento.
Allo stesso modo, il pane poteva essere cotto solamente nei forni di proprietà del feudatario.
In qualche caso, fu imposto ai borgesi il divieto di esportare i loro prodotti agricoli, mentre in un primo tempo bisognava pagare una tassa di esportazione.
Il privilegio di massimo grado cra il diritto di Merum Imperium, ossia la possibilità per il feudatario di essere nominato, dal Re, Giudice dei propri vassalli.
La facoltà di esercitare la giustizia civile, era per i feudatari la norma, mentre la giustizia riguardante le cause criminali, il Mero Imperio, era esercitata dal Re, di fatto questi concedeva raramente ai suoi vassalli tale diritto, quando lo accordava era ai suoi congiunti, riservando per se il giudizio in caso di tradimento e omicidio.
Con la venuta dei Normanni in Sicilia, furono istituiti i primi organi giudiziari, del nuovo corso storico che si apriva: per le cause civili, venne incaricato un Baiulo per ogni borgo, mentre nei centri mag giori, si provvide ad assegnare anche uno Stratigoto, per occuparsi delle cause criminali.Il Giustiziero era la figura a cui facevano capo sia il Baiulo che lo Stratigoto e si occupava di giudicare gli eventuali appelli sui giudizi delle cause contestate ai suoi subordinati.
La Magna Curia, era posta al di sopra dei Giustizieri, mentre il Consiglio di Stato, presieduto dal Re, era l’organo a cui tutto faceva riferimento.
Queste figure istituzionali erano nominate dal Re, nelle terre demaniali, mentre erano nominate dal feudatario, nel caso che questi godesse del diritto di esercitare la Giustizia riguardante le cause criminali.
Nel periodo di dominazione Svevo, successivamente ad una ordinanza emessa da Federico, in cui si vietava ai feudatari l’esercizio del Mero Imperio, venne meno la figura dello Stratigoto nelle terre feudali; mentre relativamente alle terre demaniali ne venne ridotta la capacità di giudizio per quei crimini che non implicassero la pena di morte, il cui giudizio spettava ai Giustizieri delle Province.
La Magna Curia, formata dal Mastro Giustiziero e quattro giudici, si occupava dei tradimenti e dei delitti di lesa Maestà, oltre ciò era tenuta a visitare le città ogni anno.
Durante la dominazione Aragonese, il Baiulo veniva eletto dal popolo,il Mero Imperio non veniva ancora concesso ai feudatari.
Successivamente, con la reggenza di Ludovigo e di Federico il Semplice si svilupparono delle contestazioni popolari, sfociate in disordini.
In questa nuova situazione sociale, i Feudatari avanzarono la richiesta di poter esercitare il Mero Imperio, pienamente legittimati dai disordini.
Blasco Alagona, nominato Vicario del Regno, ebbe la Capitania in Castiglione, l’equivalente del potere di giudicare le cause criminali.
Nel 1392, con la incoronazione di Re Martino, verso cui il popolo nutriva sentimenti di stima, gli animi dci rivoltosi si calmarono.
In una delle sue prime leggi, il novello Re, ribadì che l’esercizio della giustizia criminale era una prerogativa Reale o dei suoi ufficiali, espressamente delegati; nello stesso provvedimento si rimandava all’appello della Magna Regia Curia, nei casi in cui dei feudatari avessero acquisito il diritto di mero Imperio.
Con Re Martino, continuarono le elezioni dei Baiuli e dei Giudici,
inoltre il Mastro Giustiziero visitava le città due volte l’anno; un ele-
mento di novità fu introdotto dalla norma che esponeva i Giudici
alla scadenza del loro mandato, che era annuale, al giudizio popolare.
Fu a questo Re che i cittadini di Castiglione presentarono i Capitoli,
per averne l’approvazione reale.
L’opera di Re Martino, fu continuata da Re Alfonso, ma dopo la sua
morte, molti ordinamenti furono svuotati di contenuto, soprattutto
per ciò che riguardava la gestione della Giustizia.
Il nuovo Re, Giovanni, dopo avere ricevuto l’omaggio dei feudatari,
riconobbe ad essi nel Gennaio del 1460, tutta una serie di privilegi,
conferendo ai feudatari più potenti il Mero Imperio.
Nel 1515, i feudatari fecero la richiesta di estendere il privilegio del
mero imperio a Ferdinando il Cattolico, la risposta fu elusiva.
La stessa richiesta, fu rifatta a Carlo V Imperatore ottenendo ancora
una volta esito negativo; nel 1548 i feudatari posero il problema in
sede Parlamentare, allo stesso Carlo V, non ottenendo nulla di nuo-
vo.
Con Filippo II si ebbero le prime avvisaglie di un cedimento, difatti
fu proprio con il suo successore: Filippo III, che furono messi in
vendita i privilegi del Mero e Misto Imperio
Veniva concesso a tutti i feudatari che ne facevano richiesta, dietro il
pagamento di una somma di denaro.
I feudatari che ebbero il privilegio in quella occasione, lo mantenne-
ro fino alla Rivoluzione Risorgimentale, ad eccezione per quei baro-
ni, i cui vassalli si erano riscattati restituendo al feudatario, la somma
spesa per acquisire il privilegio, come avvenne in Castiglione di Sici-
lia nel 1612.
COSA AVVENNE IN CASTIGLIONE
Nel 1616 Giuseppe Preximone scriveva la sua memoria sul ri- scatto del mero e misto imperio, precisando anzitutto che Castiglione era sempre stata terra demaniale e non baronale, narrò in modo dettagliato, con cifre e date, come reclamò il diritto di Baronia su to di tre mila fiorini, fatto a Re questa richiesta si pervenne al detto Bartolomeo, figlio di Pirrono Gioeni,
Castiglione, per recuperare un prestito Martino dal proprio padre e come da riscatto del mero e misto imperio.

Il Re si era impegnato a restituire la somma entro un certo periodo, pena la terra di Castiglione sarebbe divenuta feudo del Gioeni.
La somma non fu restituita e in tale modo il Gioeni venne in possesso di Castiglione.
Successivamente Preximone evidenzia che in forza di atti Reali, preesistenti, la città di Castiglione non poteva essere ceduta in baronia, poiché spettava al Dotario della Regina.
Dal manoscritto apprendiamo che il mero e misto imperio fu ven- duto due volte: la prima da Re Alfonso a Bartolomeo Gioeni per il prezzo di onze centocinquanta, nel 1423; lo stesso non ebbe modo di esercitare il diritto, per questioni di carattere burocratico con il Regio fisco.
La seconda volta, il diritto di mero e misto imperio fu venduto da Re Filippo terzo di Spagna a  Tommaso Gioeni primo Principe di Castiglione, per la cifra di Scudi diecimila e centocinquanta onze; il diritto fu comprato per esercitarlo in Castiglione e nelle terre di Novara e Aidone.
Una clausola del contratto prescriveva che i vassalli delle tre città non potevano riscattarsi in modo disgiunto.
I Castiglionesi, non sopportando di essere sottoposti alle prepo tenze del feudatario, decisero di operare per impedire che questi potesse emettere giudizi in merito a questioni di carattere penale.
Anteo Amodeo, Sindaco di Castiglione in quell’ epoca e Angelo Lanza, furono inviati a Palermo per avere i documenti che li autorizzavano, in nome del Re, ad operare per riscattare il diritto di mero e misto imperio acquistato dal Gioeni.
Nel Consiglio del 14 marzo 1610, si scelsero le persone che dove- vano occuparsi del riscatto, furono quindi nominati: Giuseppe Preximone (autore della memoria storica) e Angelo Lanza, con la carica di Sindaci, mentre Vincenzo Guarino, Anteo Amodeo, Marco Carciopilo, Gian Matteo Badulato, Bartolomeo Petrocitto, Girolamo D’Aiuto, Vincenzo Genova, Antonio Coniglio, Giuseppe Guarino c Giandomenico Lanza, furono nominati Giurati.
I Sindaci e i Giurati decisero di contrarre un prestito di 4.000 scudi, con l’interesse annuo dell’ otto per cento.
Successivamente i suddetti Sindaci e Giurati di Castiglione, parteciparono il loro progetto ai cittadini di Novara e Aidone, ma anziché trovare una pronta adesione al loro programma, ne furono ostacolati, principalmente dagli abitanti di Aidone, mentre Novara dopo parecchi mesi aderì all’iniziativa.
Il Principe Gioeni, venuto in Castiglione fece imprigionare i Giurati e ne elesse altri di sua fiducia. Giuseppe Preximone ed Angelo Lanza, ottennero salvacondotti in cui si vietava al principe Gioeni di giudicarli, sia per cause civili sia per cause criminali, ottennero inoltre la scarcerazione e la reintegra dei Giurati destituiti dal Gioeni.
Continuarono nella loro azione e dopo alterne vicende il riscatto fu fatto Sabato 12 maggio 1612.

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Occorre mettere in evidenza che l’esercizio della Giustizia, con-
sentiva al feudatario di tenere
in scacco la popolazione, poichè egli
aveva la possibilità di condannare, con i propri giudizi, chi gli sop-
poneva e di proteggere chi l’assecondava; oltre ciò egli riscuoteva le
spese di giudizio e i beni dell’eventuale reo, erano confiscati e anda-
vano a rimpinguare le sue casse.
In tale situazione, é evidente come tra il reato commesso e la pena
inflitta non vi fosse un equilibrio, cosi come non vera nella
somministrazione delle pene, tra i vari feudi, per lo stesso reato.